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Friday, December 7, 2012
La Capitale del Mondo
Thursday, November 29, 2012
I GLADIATORI
I gladiatori romani, cioè combattenti con la spada romana "gladius", erano prigionieri di guerra, schiavi o condannati a morte, ma talvolta anche uomini liberi, attratti dalle ricompense e dalla gloria, chiunque scegliesse di diventare gladiatore automaticamente veniva considerato "infamis" per la legge, ma se aveva successo diventava un eroe, invitato e cercato da tutti, carico di ricompense e doni, pagato più di un generale dell'esercito.
Gli spettacoli gladiatorii furono etruschi prima che romani, usati nelle cerimonie funebri insieme a danze e banchetti in onore del morto. Non erano affatto, come si pensa, organizzati come sacrifici umani, ma per il gusto dello spettacolo, visto che la morte di un parente era per gli Etruschi la certezza che questi si fosse trasferito in un mondo migliore. Anche gli Etruschi sembra usassero gli schiavi e la festa si protraeva per una settimana e pure per due settimane, con diversi giochi gladiatori.
Livio racconta che 307 soldati romani fossero stati fatti prigionieri dagli abitanti di Tarquinia e che fu offerta loro una possibilità facendoli combattere fra loro o contro le fiere: di qui sarebbero nati i ludi gladiatori.
Nella Tomba degli Auguri e in quella delle Olimpiadi a Tarquinia in effetti possiamo trovare i piu' antichi documenti pittorici dei combattimenti con le fiere, nonchè un impari duello di un uomo con la testa avvolta in un sacco e armato d'una clava contro un feroce mastino.
Gli spettacoli gladiatorii furono etruschi prima che romani, usati nelle cerimonie funebri insieme a danze e banchetti in onore del morto. Non erano affatto, come si pensa, organizzati come sacrifici umani, ma per il gusto dello spettacolo, visto che la morte di un parente era per gli Etruschi la certezza che questi si fosse trasferito in un mondo migliore. Anche gli Etruschi sembra usassero gli schiavi e la festa si protraeva per una settimana e pure per due settimane, con diversi giochi gladiatori.
Livio racconta che 307 soldati romani fossero stati fatti prigionieri dagli abitanti di Tarquinia e che fu offerta loro una possibilità facendoli combattere fra loro o contro le fiere: di qui sarebbero nati i ludi gladiatori.
Nella Tomba degli Auguri e in quella delle Olimpiadi a Tarquinia in effetti possiamo trovare i piu' antichi documenti pittorici dei combattimenti con le fiere, nonchè un impari duello di un uomo con la testa avvolta in un sacco e armato d'una clava contro un feroce mastino.
I lottatori seguivano un duro addestramento nei Ludi Magni, scuole fondate da Nerone e da Cesare in cui si allenavano con dura disciplina. La diceria che venissero maltrattati è infondata. I gladiatori venivano acquistati da imprenditori che li affittavano ai circhi, un vero e proprio business, e bastava un solo gladiatore che giungesse al successo che l'imprenditore diventava ricco.
E' come se un allevatore di cavalli maltrattasse i cavalli per farli correre. Si sa che sarebbe controproducente, un gladiatore traumatizzato o picchiato, o denutrito avrebbe reso molto poco. Non risponde neppure a verità che le compagnie gladiatorie fossero dell'Imperatore se non in rari casi.
Le sfide iniziavano con una parata dove i gladiatori entravano in scena su carri o a piedi seguiti da un gruppo di suonatori; giunti sotto la tribuna dell'imperatore, lo salutavano con le parole "Ave cesare morituri te salutant" ("Ave o Cesare, coloro che si apprestano a morire ti salutano"), ma sembra che questa frase sia un'invenzione, e che il saluto si limitasse ad un "Ave Caesar" poi si dirigevano verso l'organizzatore dei giochi il quale esaminava le armi che erano diverse in base alla categoria del lottatore.
A volte gli attacchi erano simulati per mostrare varie abilità acrobatiche, ma nella maggior parte dei casi i combattimenti erano duri e sanguinosi. E' infondato però che si ordinasse da parte dell'imperatore o del pubblico la morte del gladiatore, perchè un bravo gladiatore di forgiava combattendo, e se si uccideva non diventava mai esperto. Sarebbe stato come uccidere un soldato perchè non combatteva da subito come un veterano.
E' come se un allevatore di cavalli maltrattasse i cavalli per farli correre. Si sa che sarebbe controproducente, un gladiatore traumatizzato o picchiato, o denutrito avrebbe reso molto poco. Non risponde neppure a verità che le compagnie gladiatorie fossero dell'Imperatore se non in rari casi.
Le sfide iniziavano con una parata dove i gladiatori entravano in scena su carri o a piedi seguiti da un gruppo di suonatori; giunti sotto la tribuna dell'imperatore, lo salutavano con le parole "Ave cesare morituri te salutant" ("Ave o Cesare, coloro che si apprestano a morire ti salutano"), ma sembra che questa frase sia un'invenzione, e che il saluto si limitasse ad un "Ave Caesar" poi si dirigevano verso l'organizzatore dei giochi il quale esaminava le armi che erano diverse in base alla categoria del lottatore.
A volte gli attacchi erano simulati per mostrare varie abilità acrobatiche, ma nella maggior parte dei casi i combattimenti erano duri e sanguinosi. E' infondato però che si ordinasse da parte dell'imperatore o del pubblico la morte del gladiatore, perchè un bravo gladiatore di forgiava combattendo, e se si uccideva non diventava mai esperto. Sarebbe stato come uccidere un soldato perchè non combatteva da subito come un veterano.
Anche il pollice rivolto verso il basso o l'alto per la sentenza fu una tarda invenzione cattolica, al massimo l'imperatore poteva dichiarare libero il gladiatore bravissimo, ripagando però il suo menager.
I gladiatori uccisi in combattimento venivano avvicinati da due schiavi travestiti da Caronte e da Ermete Psicopompo: uno ne verificava il decesso toccandoli con un ferro rovente, l'altro, eventualmente, dava loro il colpo finale facendo poi segno ai "libitinarii" di portar via il corpo su una rete trascinata con un uncino.
I gladiatori feriti venivano portati via e curati dai medici, e non era raro che un gladiatore molto bravo ricevesse le cure dei medici personali di grossi personaggi, imperatore compreso.
I vincitori venivano premiati con palme d'oro, denaro e dall'immensa popolarità che gli procurava donne e inviti nelle case patrizie; se il gladiatore vincitore era uno schiavo, dopo dieci vittorie, che venivano segnate su un collare di metallo, diventava libero per legge; egli allora poteva decidere se continuare a combattere per soldi o intraprendere altre attività tipo l'istruttore nelle scuole per gladiatori.
I gladiatori uccisi in combattimento venivano avvicinati da due schiavi travestiti da Caronte e da Ermete Psicopompo: uno ne verificava il decesso toccandoli con un ferro rovente, l'altro, eventualmente, dava loro il colpo finale facendo poi segno ai "libitinarii" di portar via il corpo su una rete trascinata con un uncino.
I gladiatori feriti venivano portati via e curati dai medici, e non era raro che un gladiatore molto bravo ricevesse le cure dei medici personali di grossi personaggi, imperatore compreso.
I vincitori venivano premiati con palme d'oro, denaro e dall'immensa popolarità che gli procurava donne e inviti nelle case patrizie; se il gladiatore vincitore era uno schiavo, dopo dieci vittorie, che venivano segnate su un collare di metallo, diventava libero per legge; egli allora poteva decidere se continuare a combattere per soldi o intraprendere altre attività tipo l'istruttore nelle scuole per gladiatori.
Un altro gioco molto amato dal pubblico erano le "venationes" dove i gladiatori lottavano contro belve feroci come elefanti, ippopotami, leoni, tori, tigri, pantere, e leopardi. Le cacce potevano consistere anche in una sfida fra belve, oppure per condannati a morte che venivano costretti a combattere nell'arena. Ma questo avvenne solo sotto pochi e pazzi imperatori come Commodo (quello del film Il Gladiatore).
Erano molto apprezzate anche le "naumachie", finte battaglie navali, ma rare perchè molto costose. Si sa che sotto un paio di imperatori si fecero combattere anche le donne ma solo contro altre donne, e comunque volontarie.
Romano Impero: ROMANO IMPERO
Erano molto apprezzate anche le "naumachie", finte battaglie navali, ma rare perchè molto costose. Si sa che sotto un paio di imperatori si fecero combattere anche le donne ma solo contro altre donne, e comunque volontarie.
Romano Impero: ROMANO IMPERO
Saturday, November 24, 2012
Il Pantheon
LA STORIA
Fu il tempio romano dedicato a tutti gli Dei. Fatto costruire nel 27-25 a.c. dal console Marco Vipsanio Agrippa, architetto preferito e genero di Augusto, che ne affidò la realizzazione a Lucio Cocceio Aucto. Cassio Dione Cocceiano lo elenca con la basilica di Nettuno e il Gymnasium Laconiano tra le opere edificate a sua spese da Agrippa nel Campo Marzio. Successivamente il tempio crollò e venne riedificato da Adriano, forse per mano dell'architetto Apollodoro con il risultato che possiamo vedere oggi.
Sull'edificio c'è l'iscizione latina "Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta, edificò" ma in realtà edificò la prima versione che non è quella odierna. La sua struttura originaria, come si vide dagli scavi operati per la sua manutenzione consisteva in un tempio quasi quadrato, più largo che lungo, di stile greco consacrato alle sette divinità romane. Il tempio si apriva comunque con diversi gradini sotto, perchè il livello originario è di circa sei metri sotto quello attuale.
RICOSTRUZIONE STORICA DELLA PIAZZA
Non c'è da stupirsi, perchè Roma antica varia in genere da cinque a dodici metri sotto il suolo attuale. Il particolare si rese visibile alcuni anni fa per lavori di manutenzione alla base del fronte templare, quando apparvero i massicci gradini di travertino, un vero peccato che siano interrati, togliendo parte della sua monumentalità al tempio. Secondo Cassio Dione Cocceiano il Pantheon derivava il suo nome dal fatto che la cupola richiamava la volta celeste, la sede degli Dei.
Riporta poi che Agrippa avesse voluto creare un luogo di culto dinastico, dedicato agli Dei protettori della famiglia Giulia, Marte e Venere, dove fosse collocata una statua di Ottaviano Augusto da cui l'edificio avesse derivato il nome. Essendosi Ottaviano opposto ad entrambe le cose, Agrippa fece porre all'interno una statua del Divo Giulio e, all'esterno, nel pronao, una di Ottaviano e una di se stesso, a celebrazione della loro profondissima amicizia.
Riporta poi che Agrippa avesse voluto creare un luogo di culto dinastico, dedicato agli Dei protettori della famiglia Giulia, Marte e Venere, dove fosse collocata una statua di Ottaviano Augusto da cui l'edificio avesse derivato il nome. Essendosi Ottaviano opposto ad entrambe le cose, Agrippa fece porre all'interno una statua del Divo Giulio e, all'esterno, nel pronao, una di Ottaviano e una di se stesso, a celebrazione della loro profondissima amicizia.
RICOSTRUZIONE INTERNA
L'edificio venne decorato da Diogenes di Atene, poi fu distrutto da un incendio nell'80 d.c., venne ricostruito il preesistente sotto Domiziano, ma fu distrutto di nuovo sotto Traiano. Sotto Adriano l'edificio venne ricostruito di sana pianta, come dimostrano i marchi di fabbrica sui mattoni del 123-125, e il suo architetto fu probabilmente il grande Apollodoro di Damasco.
E' il monumento romano meglio conservato che ci sia, anche se in parte rimaneggiato, come disse Stendhal, “Il più bel resto dell'antichità romana che ci appare come dovettero vederlo alla loro epoca i Romani” Fu locato secondo i dettami della leggenda, secondo cui fu il luogo dove il fondatore di Roma, Romolo, alla sua morte fu afferrato da un'aquila e portato in cielo fra gli Dei.
La destinazione del tempio fu una grande innovazione, perchè i templi antichi erano riservati al loro interno ai sacerdoti, mentre il pubblico assisteva a debita distanza fuori dal tempio. Il pantheon invece accoglieva il pubblico, era fatto per il pubblico che partecipava direttamente nel tempio alla cerimonia. Questo principio ispirerà poi i templi di Iside a Roma, anch'essi comprensivi all'interno dei fedeli, e poi le chiese successive cristiane.
Nel VII secolo fu trasformato in chiesa, dedicata a Maria e ai martiri, ciò che garantì la sua conservazione, anche se nei secoli venne spogliato di molti splendidi decori.
E' il monumento romano meglio conservato che ci sia, anche se in parte rimaneggiato, come disse Stendhal, “Il più bel resto dell'antichità romana che ci appare come dovettero vederlo alla loro epoca i Romani” Fu locato secondo i dettami della leggenda, secondo cui fu il luogo dove il fondatore di Roma, Romolo, alla sua morte fu afferrato da un'aquila e portato in cielo fra gli Dei.
La destinazione del tempio fu una grande innovazione, perchè i templi antichi erano riservati al loro interno ai sacerdoti, mentre il pubblico assisteva a debita distanza fuori dal tempio. Il pantheon invece accoglieva il pubblico, era fatto per il pubblico che partecipava direttamente nel tempio alla cerimonia. Questo principio ispirerà poi i templi di Iside a Roma, anch'essi comprensivi all'interno dei fedeli, e poi le chiese successive cristiane.
Nel VII secolo fu trasformato in chiesa, dedicata a Maria e ai martiri, ciò che garantì la sua conservazione, anche se nei secoli venne spogliato di molti splendidi decori.
STATUA DI AGRIPPA AL PANTHEON
(RICOSTRUZIONE)
LA LEGGENDA CRISTIANA
Le leggende cristiane sono più semplici e anche un po' meno romantiche di quelle pagane.
Il pantheon divenne chiesa cristiana nel 608, regalata dall’imperatore bizantino Foca al pontefice Bonifacio IV, che la dedicò a Santa Maria ad Martyres, con cerimonia di consacrazione quanto mai solenne: vennero seppellite, sotto la "Confessione" del nuovo santuario, tante ossa di martiri sottratte alle catacombe quante se ne caricarono in ben ventotto carri.
A questa consacrazione si videro fuggire atterriti sette demoni, sette come le divinità pagane che avevano abitato il tempio. Inoltre l’apertura in cima alla cupola prima non c'era, ma fu procurata da un diavolo a colpi di corna per scappare dal tetto, facendo saltare la pigna dorata che lo chiudeva.
Romano Impero: ROMANO IMPERO
(RICOSTRUZIONE)
LA LEGGENDA CRISTIANA
Le leggende cristiane sono più semplici e anche un po' meno romantiche di quelle pagane.
Il pantheon divenne chiesa cristiana nel 608, regalata dall’imperatore bizantino Foca al pontefice Bonifacio IV, che la dedicò a Santa Maria ad Martyres, con cerimonia di consacrazione quanto mai solenne: vennero seppellite, sotto la "Confessione" del nuovo santuario, tante ossa di martiri sottratte alle catacombe quante se ne caricarono in ben ventotto carri.
A questa consacrazione si videro fuggire atterriti sette demoni, sette come le divinità pagane che avevano abitato il tempio. Inoltre l’apertura in cima alla cupola prima non c'era, ma fu procurata da un diavolo a colpi di corna per scappare dal tetto, facendo saltare la pigna dorata che lo chiudeva.
Romano Impero: ROMANO IMPERO
Saturday, November 17, 2012
TEATRO E CRIPTA BALBO
LA STORIA
Cornelio Balbo, figlio dell'omonimo generale di Pompeo, poi fedele a Cesare e quindi ad Ottaviano, celebrò nel 19 a.c. uno splendido trionfo a Roma per la sua vittoria in Mauretania. Su esortazione di Ottaviano che chiedeva a tutti il dono di bei monumenti per Roma, il generale fece edificare, nel 13 a.c., come narra Cassio Dione, uno splendido teatro finanziato col bottino conquistato in Africa.
Dione ricorda che proprio i giorni degli spettacoli del teatro da pochissimo inaugurato, coincise con la notizia del ritorno di Augusto vittorioso dalle campagne di Gallia, Germania e Spagna, e con lo straripamento del Tevere, si che il teatro era raggiungibile esclusivamente in barca, il che non scoraggiò i Romani dall'andare al nuovo teatro che da Cornelio Balbo prese nome.
Dione ricorda che proprio i giorni degli spettacoli del teatro da pochissimo inaugurato, coincise con la notizia del ritorno di Augusto vittorioso dalle campagne di Gallia, Germania e Spagna, e con lo straripamento del Tevere, si che il teatro era raggiungibile esclusivamente in barca, il che non scoraggiò i Romani dall'andare al nuovo teatro che da Cornelio Balbo prese nome.
TRASFORMAZIONE DALL'EPOCA ROMANA
AL TARDO MEDIOEVO
AL TARDO MEDIOEVO
La scelta del luogo in cui edificare il teatro voleva seguire il programma, voluto da Augusto e da Agrippa, di abbellire e arricchire il Campo Marzio, ossia a quella parte pianeggiante della città che si estendeva sulla sinistra del Tevere tra il Campidoglio e le pendici del Pincio. Infatti quando salì al potere, Augusto fece restaurare o costruire ex novo numerosi edifici pubblici, esortando i suoi alleati e tutti i patrizi di Roma a fare altrettanto.
Il devastante incendio che scoppiò a Roma sotto Tito, nell'80 d.c., danneggiò seriamente il teatro, che fu però restaurato sotto Domiziano, come testimoniano i bolli dei laterizi.
Subì ulteriori modifiche e restauri sotto Adriano, quando il portico fu sopraelevato di un piano e l'emiciclo dell'abside fu trasformato da esedra in latrina. Ma anche il teatro fu restaurato e rifatto, come dimostrano alcuni capitelli appartenenti alla fronte scenica, rinvenuti di recente. A questa fase appartengono la muratura in mattoni, con la quale è stata tra l'altro separata dalla piazza la grande esedra, e la decorazione architettonica a stucco che rivestiva i prospetti del portico.
Il teatro Balbo fu indicato facente parte della IX regione augustea, e risulta in funzione fino al IV sec. d.c., quando la nuova religione proibiva l'uso dei teatri, considerati osceni e peccaminosi, ma spesso con scarso successo.
Dal V sec., con lo stabilirsi delle leggi ecclesiastiche, il complesso monumentale andò in completa rovina. Nel X secolo, le sue strutture murarie furono trasformate in fortilizio medievale, ricordato dalle fonti con il nome di Castellum aureum, in cui vennero inseriti orti e chiese. Nei secoli successivi, l’area del criptoportico fu occupata dalle botteghe dei funari.
Il teatro è rimasto a lungo ignorato in epoca moderna, perché fino al 1960 la sua cavea, di cui sono ancora visibili i resti inglobati nel Palazzo Mattei-Paganica, veniva identificata con l'emiciclo del Circo Flaminio, il quale si trovava invece presso il Teatro di Marcello, ove è la via del Portico di Ottavia.
Gli scavi del 1961 hanno liberato una parte della grande esedra posta su uno dei lati del criptoportico quasi quadrato che costituisce la Crypta Balbi.
Il devastante incendio che scoppiò a Roma sotto Tito, nell'80 d.c., danneggiò seriamente il teatro, che fu però restaurato sotto Domiziano, come testimoniano i bolli dei laterizi.
Subì ulteriori modifiche e restauri sotto Adriano, quando il portico fu sopraelevato di un piano e l'emiciclo dell'abside fu trasformato da esedra in latrina. Ma anche il teatro fu restaurato e rifatto, come dimostrano alcuni capitelli appartenenti alla fronte scenica, rinvenuti di recente. A questa fase appartengono la muratura in mattoni, con la quale è stata tra l'altro separata dalla piazza la grande esedra, e la decorazione architettonica a stucco che rivestiva i prospetti del portico.
Il teatro Balbo fu indicato facente parte della IX regione augustea, e risulta in funzione fino al IV sec. d.c., quando la nuova religione proibiva l'uso dei teatri, considerati osceni e peccaminosi, ma spesso con scarso successo.
Dal V sec., con lo stabilirsi delle leggi ecclesiastiche, il complesso monumentale andò in completa rovina. Nel X secolo, le sue strutture murarie furono trasformate in fortilizio medievale, ricordato dalle fonti con il nome di Castellum aureum, in cui vennero inseriti orti e chiese. Nei secoli successivi, l’area del criptoportico fu occupata dalle botteghe dei funari.
Il teatro è rimasto a lungo ignorato in epoca moderna, perché fino al 1960 la sua cavea, di cui sono ancora visibili i resti inglobati nel Palazzo Mattei-Paganica, veniva identificata con l'emiciclo del Circo Flaminio, il quale si trovava invece presso il Teatro di Marcello, ove è la via del Portico di Ottavia.
Gli scavi del 1961 hanno liberato una parte della grande esedra posta su uno dei lati del criptoportico quasi quadrato che costituisce la Crypta Balbi.
Saturday, November 10, 2012
I Mosaici
I MOSAICI ROMANI
Il mosaico romano nacque come una composizione artistica e figurativa ottenuta mediante frammenti di materiali diversi, dette tessere, per formare immagini o disegni decorativi. Le tessere potevano essere di basalto, di travertino, di marmi di diverso colore, di diaspri vari, di pasta vitrea o di conchiglie. Si usava principalmente per i pavimenti, resistenti e facili da pulire, ma in seguito venne usato pure sulle pareti, a volte di grandezza ridotta, incasellati in una pittura parietale più estesa.
Il termine mosaico nel sostantivo, e musivo per l'aggettivo, in latino chiamato opus musivum, dovrebbe avere un riferimento alle Muse, cioè "opera delle Muse" oppure "rivestimento applicato alle grotte dedicate alle Muse ". Gli antichi romani in effetti solevano costruire, nei giardini delle ville, grotte e anfratti dedicati alle Ninfe (ninpheum) o alle Muse (musaeum), decorandone le pareti con sassi e conchiglie. Quindi musaeum o musivum indica la grotta e opus musaeum o opus musivum indica il tipo di decorazione murale.
I primi mosaici a Roma compaiono verso il III sec.a.c. per impermeabilizzare e abbellire il pavimento di terra battuta. Dapprima si userà il cocciopesto, in seguito imiterà i mosaici greci finchè troveranno uno stile proprio. I motivi dominanti saranno a motivi geometrici, ad arabeschi, a vegetazione stilizzata.
A Roma prevarranno i mosaici in bianco e nero, che pavimenteranno le terme, i mercati, i fori e i templi, nonchè le abitazioni private, giungendo a piccoli mosaici davanti la casa che avvertiva del nome della casa o in segno di accoglienza, o del famoso "Cave canem", "Attenti al cane", rinvenuto in vari siti campani.
Tuesday, November 6, 2012
IL COLOSSo
L'Anfiteatro Flavio, per la vicinanza del Colosso Neroniano, nell’VIII sec. prese il nome di"Colosseo", e sull’origine del nome si sono fatte ipotesi svariate: che derivasse solo dalle proporzioni "colossali" dello stadio, o che per la vicinanza del Colosso di Nerone, avrebbero detto "ad Colossum eo" cioè “vado al Colosso”, oppure deriverebbe dall'antico "Collis Isei", il tempio di Iside situato sul vicino Colle Oppio.
Una storia cristiana narrava invece che i sacerdoti del Sole, che vivevano nel monastero del "tempio", obbligassero gli stranieri in visita a venerare la statua del Sole, e avendo imprigionato dei diavoli dentro alcune statue del tempio, questi facevano muovere gli occhi dei simulacri e parlavano dalle loro bocche. I sacerdoti portavano allora i pellegrini spaventati davanti alla statua del dio Sole, chiedendo: “Colis eum?”, ovvero “Lo adori?”. Da qui sarebbe nato il nome Colosseo. Questa storia era narrata come vera, del resto moltissime storie di santi e miracoli erano invenzioni che miravano soprattutto a porre in chiave diabolica la precedente religione.
Nei "Mirabilia Urbis Romae", una raccolta di racconti con una certa inventiva, di autori stranieri suggestionati dalle meraviglie della città narrarono varie leggende su Roma, e tra queste il "Tempio del Sole", vale a dire il Colosseo che stava a fianco al Dio Sole. Da questo evidentemente derivò la fantasiosa leggenda cattolica.
"Finchè sta in piedi il Colosseo, sta in piedi anche Roma; quando cade il Colosseo cade anche Roma. Quando cade Roma, cade il Mondo"
Questa antica profezia redatta da Beda il Venerabile (Britannia, VI sec. d.c.) si riferisce non all'Anfiteatro Flavio che ancora non era chiamato "Colosseo", perchè fu nominato così nel sec. VIII bensì alla statua colossale di Nerone che all'epoca dello studioso stava ancora in piedi davanti al monumento. Può darsi, ma allora la statua si chiamava Colosso o Colosseo?
LA BOCCA DELLA VERITA'
LA CLOACA MASSIMA
Per risanare l’area del foro dai rifiuti e dalle acque stagnanti il re di Roma Tarquinio il Superbo decise di realizzare la Cloaca Maxima, che ha funzionato ininterrottamente dall’epoca della sua costruzione fino ai giorni nostri. Essa permise infatti di sanare le zone del Foro, del Circo Massimo e della Suburra, raccogliendo anche i collettori di scarico che venivano dal Velabro.
L'acqua piovana, nonchè gli scarichi dalle terme e dei bagni pubblici e privati, scorrevano dentro il canale principale della Cloaca Massima. Le strade di Roma erano costruite nella forma di "schiena d'asino", per cui, grazie al centro rialzato rispetto ai lati, l'acqua piovana scorreva ai lati della strada precipitando nei tombini e da lì nei canali sotterranei. Questo geniale sistema per la pulizia delle strade funziona fino ai giorni nostri, ma non in Italia, bensì a Parigi, dove gli spazzini non devono raccogliere polvere, foglie e antro, ma solo spazzarlo verso i lati della strada, dove l'acqua porta via tutto.
La Cloaca Maxima, per un lungo periodo rimase una struttura a cielo aperto, ne fanno testimonianza i numerosi fori praticati sotto la volta, per reggere i passanti di legno dei vari ponti che l’attraversavano.
In seguito alla massiccia edificazione nella zona dei Fori si dovette procedere alla copertura del condotto,con una serie di tombini posti a pochi metri l’uno dall’altro, grandi, in marmo e ornati a bassorilievi, come si addiceva al luogo più prestigioso della civiltà romana, i fori imperiali. Uno di quei tombini è diventato molto famoso, quello che si conserva nell’atrio di S. Maria in Cosmedin.
IL TOMBINO SACRO
I tombini, nell'antica Roma erano sparsi in tutta la città, sempre in marmo o in pietra, e spesso, specie nelle zone più eleganti, avevano la forma della testa di una divinità fluviale, con la bocca aperta che ingoia le acque di scarico. Quello di S. Maria in Cosmedin ha un volto di uomo con barba, occhi, naso e bocca cavi e forati, attraverso i quali l'acqua scendeva nel sottosuolo.
Secondo alcuni trattavasi dell'immagine di Giove Ammone, o di un un oracolo proveniente da un tempio. Invece il bassorilievo sulla grande e spessa lastra rotonda riguarda proprio un tombino e a conferma di ciò c’è il fatto che la Cloaca Massima si trova in prossimità dell’omonima piazza. La scultura, databile attorno al I sec. d.c., ha il ragguardevole diametro di m 1,75 e un peso di circa 1 tonnellata e 300 kg.
Il fatto è che era consuetudine a Roma porre le divinità ovunque, ce n'erano pure nei bagni pubblici e pure nei privati come è emerso in via Garibaldi. I Romani non ritenevano offensivo chiedere agli Dei il buon funzionamento dei bisogni corporali o degli scarichi cittadini, per questo a lungo si ritenne non potersi trattare di un tombino, come è in effetti.
LE LEGGENDE
Secondo alcuni il mascherone sarebbe l'oggetto menzionato nell'XI sec. nella guida per i pellegrini Mirabilia Urbis Romae, dove si dice che Ad sanctam Mariam in Fontana, templum Fauni; quod simulacrum locutum est Iuliano et decepit eum, cioè "Presso la chiesa di santa Maria in Fontana si trova il tempio di Fauno. Questo simulacro parlò a Giuliano e lo ingannò". Per questa ragione alcuni lo ritennero una raffigurazione del Dio Fauno.
Sempre a causa della indiscriminata demonizzazione che il cristianesimo fece su tutto il mondo pagano ignorandone bellezza e significati, un testo tedesco del XII sec. narrò una storia simile, e cioè come, da dietro la bocca di pietra, il diavolo, fingendosi Mercurio, afferrasse la mano dell'imperatore Giuliano, il restauratore del paganesimo. Poichè Giuliano aveva truffato una donna e su quell'idolo doveva giurare la sua innocenza, il diavolo promise di salvarlo dalla figuraccia e di conferirgli grandi fortune se avesse rimesso in auge le divinità pagane.
Ma l'immagine non ha nulla di diabolico, anzi colpisce la sua vista per il fatto che una divinità potesse essere ritratta a uso tombino, ma i Romani erano molto più spontanei ed istintuali di noi e non dovevano celare nè svalutare le funzioni corporali e tutto ciò che ad esse era connesso. I Romani defecavano in compagnia entro lo stesso bagno pubblico, gomito a gomito e incuranti del fetore.
Del resto la cloaca aveva la sua brava divinità, la Venere Cloacina, e se Venere poteva presiedere alla cloaca un Dio fluviale poteva ben presiedere a un tombino. I Romani rispettavano gli Dei ma avevano con essi un rapporto più democratico. Non si prostravano e non si inginocchiavano, e se chiedevano una grazia promettendo in voto qualcosa, quel qualcosa veniva fatto solo a grazia ricevuta, mai in anticipo.
Se il corpo era una buona e bella cosa, come dimostrano i bei nudi delle statue, anche le funzioni corporali erano naturali, per cui un Dio poteva ben aiutare a convogliare le acque pulite ma pure le acque luride per indirizzarle alla cloaca.
SANTA MARIA IN COSMEDIN
La Bocca della Verità possiede anche altre leggende. Le guide medievali ne parlavano come di un oracolo potente e magico, spesso come personificazione del diavolo; si parlò addirittura di Virgilio come costruttore della scultura, la quale doveva essere utilizzata per scoprire la fedeltà delle mogli. Ne derivò la leggenda della mano incastrata della moglie fedifraga nella bocca punitrice, giunta fino ai giorni nostri e riprodotta anche in alcuni film, tra cui il celeberrimo Vacanze Romane.
Il nome Bocca della Verità fu dato alla scultura per la prima volta nel 1485 e da allora è rimasta uno dei simboli più significativi di Roma, infatti nel XV sec. si narra nelle guide di questa pietra "che si chiama lapida della verità, che anticamente aveva virtù di mostrare quando una donna avessi fatto fallo a suo marito".
In un'altra leggenda una donna infedele, condotta dal marito tradito alla Bocca della Verità per subire la prova, riuscì a salvare la mano con una astuzia. Aveva detto all'amante di presentarsi anche lui il giorno della prova e che, fingendosi pazzo, di abbracciarla davanti a tutti. L'amante eseguì la richiesta e la donna,infilando la mano nella Bocca, giurò di essere stata abbracciata in vita sua solo da suo marito e da quell'uomo che tutti avevano visto. Venne inoltre frequentemente riprodotta in disegni e stampe. Da questi ricaviamo che era in origine collocata all'esterno del portico della chiesa; fu spostata nel portico con i restauri voluti da papa Urbano VIII Barberini.
ROMOLO (753-715 a.c.)
Nascita: Alba Longa 24 marzo del 771 a.c.
Morte: 715 a.c.
Predecessore: inizio regno
Successore: Numa Pompilio
Consorte: Ersilia
Figli: Prima e Aollio
Dinastia: di Alba Longa
Padre: Marte
Madre: Rea Silvia
ROMOLO E REMO
"Sul terreno su cui sarebbe nata Roma, i due fratelli trassero gli auspici: nacque una lite tra i due, nel corso del quale Remo trovò la morte. Romolo tracciò un solco intorno al Palatino: era nata la Roma Quadrata." (AA.VV. Dizionario della civiltà romana, Roma 1990, p. 174.)
Dopo la fondazione leggendaria della città, ritenuta il 21 Maggio del 753 a.c., Romolo, che derivò il suo nome dalla città, e non il contrario, ne divenne il primo Re. Era rappresentante dei Ramnes, cioè un latino.
Plutarco racconta che un certo Lucio Taruzio, matematico, astrologo ed amico di Marco Terenzio Varrone avesse calcolato il giorno della nascita dei due gemelli Romolo e Remo: il 24 marzo del 771 a.c., nel qual caso i gemelli avrebbero fondato Roma all'età di 18 anni. La leggenda narra che Romolo e Remo erano figli del Dio della guerra Marte, invaghitosi della vestale Rea Silvia, figlia di Numitore, re di Albalonga, a sua volta discendente di Enea.
Trilussa
LA MADRE BONA
Lei dice che mi' fija è una ciovetta...
Lo so da me: ma ch'ho da fa', d'artronne,
se porta li capelli a la garzonne
e se specchia e s'incipria e s'imbelleta?
Spesso je dico: "Jole, damme retta:
lascia annà de ballà, nun te confonne..."
Ma lei cocciuta, invece de risponne
me se mette a fumà la sigheretta!
Se, Dio ce scampi, fosse ancora vivo
quela benedett'anima der padre!
Quello sì, che davero era cattivo!
Io, invece, chiudo un occhio...Caro lei!
è difficile assai de fa' la madre
ner millenovecentosei!
Lei dice che mi' fija è una ciovetta...
Lo so da me: ma ch'ho da fa', d'artronne,
se porta li capelli a la garzonne
e se specchia e s'incipria e s'imbelleta?
Spesso je dico: "Jole, damme retta:
lascia annà de ballà, nun te confonne..."
Ma lei cocciuta, invece de risponne
me se mette a fumà la sigheretta!
Se, Dio ce scampi, fosse ancora vivo
quela benedett'anima der padre!
Quello sì, che davero era cattivo!
Io, invece, chiudo un occhio...Caro lei!
è difficile assai de fa' la madre
ner millenovecentosei!
Sunday, November 4, 2012
Il Teatro di Marcello
LA STORIA
Si disse che Giulio Cesare progettò la costruzione di un teatro che oscurasse quello edificato nel Campo Marzio dal nemico Pompeo. Ma è del tutto falso, perchè prima di costruire il teatro Marcello, Cesare fece riedificare quello di Pompeo distrutto da un incendio, cosa che avrebbe potuto evitare. Inoltre il nuovo teatro non avrebbe avuto e non ebbe mai, nonostante l'ampliamento del progetto, la capienza del Teatro di Pompeo.
Cesare, non solo non dette a Pompeo ladamnatio memoriae, ma lo onorò nei funerali, nei monumenti e nelle statue. Infatti fu assassinato proprio sotto la statua di Pompeo posta dinanzi al senato.
Per la sua edificazione Iulius fece espropriare una vasta area, demolendo anche alcuni edifici sacri, come il tempio della Dea Pietas. Alla morte prematura di Cesare però erano state gettate solo le fondamenta e i lavori furono ripresi da Augusto, deciso a portare a termine ogni iniziativa del predecessore, che riscattò con il proprio denaro un'area più vasta per un teatro più grande e munifico. Probabilmente occupò la parte curva del Circo Flaminio, che da allora divenne una piazza, facendo spostare o riedificare gli edifici sacri circostanti, come il tempio di Apollo e il tempio di Bellona.
Il primo spettacolo avvenne nel 17 a.c., per i "ludi secolari", ma venne inaugurato ufficialmente nel 13 a.c. con giochi sontuosi e dedicato a Marco Claudio Marcello, nipote di Augusto, figlio della sorella Ottavia, già designato come erede e maritato alla figlia Giulia, ma morto prematuramente.
Per la dedica vennero collocate quattro colonne di marmo africano, prese dalla casa di Marco Emilio Scauro sul Palatino e una statua di Marcello in bronzo dorato.
Il primo restauro della scena si ebbe sotto Vespasiano e altri restauri si ebbero sotto Alessandro Severo. Nonostante il possibile reimpiego di alcuni blocchi di travertino provenienti dalla facciata nel restauro del 370 del ponte Cestio, il teatro sembra fosse ancora utilizzato e nel 421 si ebbe un restauro delle sue statue a cura di Petronio Massimo, praefectus urbi.
In epoca medioevale si trasformò in un castello fortificato, inizialmente di proprietà dei Pierleoni, poi dei Faffo e dal XIII sec. dei Savelli, che fecero edificare da Baldassarre Peruzzi il palazzo tuttora esistente sopra le arcate della facciata. Nel XVIII sec. passò agli Orsini, fino agli espropri degli anni '30 e ai lavori del 1926-1932, ad opera di Mussolini, con cui vennero eliminate botteghe e abitazioni nelle arcate e lo spazio circostante; contemporaneamente i fornici, allora interrati per circa 4 m., vennero porati allo scoperto. I restauri consolidarono una parte delle arcate interne, con speroni in mattoni, e rifecero parte della facciata, riprendendo lo schema architettonico delle arcate in pietra.
Saturday, November 3, 2012
Il Giro di Roma: Tariffe
Il Giro di Roma: Tariffe: Mercedes Serie E Max 3 Pax + 3 bagaglio medio: Shuttle da/per Aeroporto Fco L. Da Vinci o Cia G. Pastine per Roma Centro € 50,00 S...
Thursday, November 1, 2012
LA CAPPELLA SISTINA
La Cappella Sistina deve il nome al suo committente, il papa
Sisto IV della Rovere (1471-1484), che volle edificare un nuovo grande ambiente
sul luogo dove già sorgeva la "Cappella Magna", aula fortificata di
età medioevale, destinata ad accogliere le riunioni della corte papale.
Quest’ultima al tempo contava circa 200 membri ed era composta di un collegio
di 20 cardinali, di
rappresentanti degli ordini religiosi e delle grandi
famiglie, del complesso dei cantori, di un gran numero di laici e di servi. La
costruzione Sistina doveva rispondere inoltre ad esigenze difensive nei
confronti di due pericoli incombenti: la Signoria di Firenze, retta dalla
famiglia dei Medici, con i quali il papa era in continua tensione, e i turchi
di Maometto II, che proprio in quegli anni minacciavano le coste orientali
dell’Italia. La sua realizzazione ebbe inizio nel 1475, anno del Giubileo
indetto da Sisto IV, e si concluse nel 1483 quando, il 15 agosto, la Cappella,
dedicata alla Vergine Assunta, venne inaugurata con solennità dal papa. Il
progetto dell’architetto Baccio Pontelli riutilizzava fino ad un terzo
dell’altezza le murature medioevali.
[...] La raffinata balaustra quattrocentesca sormontata da candelabri divide l’ambiente riservato al clero da quello destinato al pubblico: fu arretrata alla fine del Cinquecento per rendere il primo spazio più ampio. La splendida pavimentazione a mosaico, rimasta ancor oggi intatta, risale al 1400 e fu realizzata su modelli medioevali. Ultimata nel 1481 la struttura architettonica, il papa Sisto IV chiamò a lavorare nella Cappella famosi pittori fiorentini, come Botticelli, Ghirlandaio, Cosimo Rosselli e Signorelli, nonché umbri, quali Perugino e Pinturicchio.
Essi decorarono le pareti laterali, divise in tre fasce orizzontali e scandite verticalmente da eleganti lesene. Nella parte inferiore furono realizzati ad affresco finti drappi damascati con le insegne del pontefice; sopra di essi venivano appesi arazzi (alcuni, eseguiti da Raffaello e suoi aiuti nel secondo decennio del Cinquecento, si trovano oggi nella sala a lui dedicata della Pinacoteca Vaticana); nella fascia mediana, la più importante, furono dipinte scene di Storie bibliche con episodi della vita di Mosè e di Cristo, entrambi concepiti quali liberatori dell’umanità; in quella superiore, all’altezza delle finestre, furono fatti realizzare da Sisto IV, i ritratti dei primi pontefici, inseriti entro nicchie monocrome, per dimostrare la continuità del suo mandato con i suoi predecessori.
Il soffitto della Cappella, come mostra un famoso disegno del Cinquecento oggi agli Uffizi, era stato infine decorato fino alle lunette con stelle dorate su fondo azzurro ad opera del pittore Pier Matteo d’Amelia.
Toccò quindi al nipote di Sisto IV, l’intraprendente Giuliano della Rovere, divenuto papa con il nome di Giulio II (1503-1513), far completare le decorazioni pittoriche all’interno della Cappella. Egli nell’ambito di grandioso rinnovamento della città, chiamò a Roma Michelangelo Buonarroti (1475-1564), artista già famoso a Firenze e al quale aveva in precedenza affidato altri incarichi, che accettò, non senza iniziali polemiche, di decorare "a fresco" la volta. L’opera venne compiuta in quattro anni di duro lavoro (dal 1508 al 1512) ed ha come tema la storia dell’umanità nel periodo che precede la venuta di Cristo.
La pittura della parete con il "Giudizio Universale" fu eseguita invece dallo stesso artista più tardi: dal 1536 al 1541, su commissione del papa Paolo III Farnese (1534-1549), il quale aveva a sua volta confermato l’incarico del precedente papa Clemente VII (1523-1534). Il tema rappresentato questa volta è il Fato ineluttabile che incombe su tutti gli uomini, del cui destino Dio è arbitro assoluto.
Con i suoi 800 metri quadrati di pittura "a buon fresco", è il grande capolavoro di Michelangelo, uno dei cicli più importanti della pittura mondiale. L’opera fu iniziata nel maggio del 1508, subendo un’interruzione di circa un anno, dal settembre del 1510 all’agosto del 1511. La Cappella venne inaugurata solennemente da Giulio II il primo novembre del 1512.
Venti anni dopo aver terminato la sua opera nella volta, nel 1532 Michelangelo venne incaricato dal papa Clemente VII (1523-1534) di dipingere la parete di fondo dell’aula Sistina; ma cominciò il lavoro soltanto nel 1536 sotto il papa successivo, Paolo III Farnese (1534-1549), e lo concluse nel 1541, quando il 13 ottobre, con una solenne cerimonia, fu scoperto il grandioso affresco
dal sito del vaticano
http://www.vaticanstate.va/
[...] La raffinata balaustra quattrocentesca sormontata da candelabri divide l’ambiente riservato al clero da quello destinato al pubblico: fu arretrata alla fine del Cinquecento per rendere il primo spazio più ampio. La splendida pavimentazione a mosaico, rimasta ancor oggi intatta, risale al 1400 e fu realizzata su modelli medioevali. Ultimata nel 1481 la struttura architettonica, il papa Sisto IV chiamò a lavorare nella Cappella famosi pittori fiorentini, come Botticelli, Ghirlandaio, Cosimo Rosselli e Signorelli, nonché umbri, quali Perugino e Pinturicchio.
Essi decorarono le pareti laterali, divise in tre fasce orizzontali e scandite verticalmente da eleganti lesene. Nella parte inferiore furono realizzati ad affresco finti drappi damascati con le insegne del pontefice; sopra di essi venivano appesi arazzi (alcuni, eseguiti da Raffaello e suoi aiuti nel secondo decennio del Cinquecento, si trovano oggi nella sala a lui dedicata della Pinacoteca Vaticana); nella fascia mediana, la più importante, furono dipinte scene di Storie bibliche con episodi della vita di Mosè e di Cristo, entrambi concepiti quali liberatori dell’umanità; in quella superiore, all’altezza delle finestre, furono fatti realizzare da Sisto IV, i ritratti dei primi pontefici, inseriti entro nicchie monocrome, per dimostrare la continuità del suo mandato con i suoi predecessori.
Il soffitto della Cappella, come mostra un famoso disegno del Cinquecento oggi agli Uffizi, era stato infine decorato fino alle lunette con stelle dorate su fondo azzurro ad opera del pittore Pier Matteo d’Amelia.
Toccò quindi al nipote di Sisto IV, l’intraprendente Giuliano della Rovere, divenuto papa con il nome di Giulio II (1503-1513), far completare le decorazioni pittoriche all’interno della Cappella. Egli nell’ambito di grandioso rinnovamento della città, chiamò a Roma Michelangelo Buonarroti (1475-1564), artista già famoso a Firenze e al quale aveva in precedenza affidato altri incarichi, che accettò, non senza iniziali polemiche, di decorare "a fresco" la volta. L’opera venne compiuta in quattro anni di duro lavoro (dal 1508 al 1512) ed ha come tema la storia dell’umanità nel periodo che precede la venuta di Cristo.
La pittura della parete con il "Giudizio Universale" fu eseguita invece dallo stesso artista più tardi: dal 1536 al 1541, su commissione del papa Paolo III Farnese (1534-1549), il quale aveva a sua volta confermato l’incarico del precedente papa Clemente VII (1523-1534). Il tema rappresentato questa volta è il Fato ineluttabile che incombe su tutti gli uomini, del cui destino Dio è arbitro assoluto.
Con i suoi 800 metri quadrati di pittura "a buon fresco", è il grande capolavoro di Michelangelo, uno dei cicli più importanti della pittura mondiale. L’opera fu iniziata nel maggio del 1508, subendo un’interruzione di circa un anno, dal settembre del 1510 all’agosto del 1511. La Cappella venne inaugurata solennemente da Giulio II il primo novembre del 1512.
Venti anni dopo aver terminato la sua opera nella volta, nel 1532 Michelangelo venne incaricato dal papa Clemente VII (1523-1534) di dipingere la parete di fondo dell’aula Sistina; ma cominciò il lavoro soltanto nel 1536 sotto il papa successivo, Paolo III Farnese (1534-1549), e lo concluse nel 1541, quando il 13 ottobre, con una solenne cerimonia, fu scoperto il grandioso affresco
dal sito del vaticano
http://www.vaticanstate.va/
Circo Massimo
Il Circo Massimo. Fu il primo circo costruito a Roma ed era adibito principalmente per la corsa con le bighe, sul lato adiacente al Palatino, c’era un edificio dotato di tribuna, su cui trovavano posto le statue delle divinità e da cui l’imperatore assisteva alle gare. La struttura, più volte modificata sotto i vari imperatori, raggiunse dimensioni colossali riuscendo ad accogliere, all’apice della sua grandezza sotto Costantino, oltre 300.000 spettatori.
Il buco a piazza dei Cavalieri di Malta
Nel 1765 il nipote di Clemente
XIII, cardinal Rezzonico, affidò a Piranesi la
ristrutturazione dell'ingresso al Priorato. Il risultato, unica opera
architettonica dell'autore, fu la straordinaria piazzetta settecentesca, esemplare
quasi unico a Roma di
ambientazione urbanistica rococò,
decorata con trofei di guerra che alludono alle imprese dei Cavalieri di Malta
e con gli stemmi dei Rezzonico, sulla quale si apre il portale d'ingresso alla
Villa. La piazzetta è nota soprattutto perché dal buco della serratura del
portone d'ingresso è esattamente inquadrata, in fondo al giardino, la cupola di San Pietro. Le dimensioni e
l'impostazione della piazza alludono all'armilustrium,
la festa che si teneva in onore di Marte in ottobre, per purificare l'esercito
romano prima di acquartierarlo per l'inverno, quando i soldati, dopo la rivista
al Circo Massimo, salivano in processione l'Aventino per
sacrificare al dio.
Piazza Navona, ai tempi dell'antica Roma, era lo Stadio di Domiziano che fu costruito dall'imperatore Domiziano nell'85 e nel III secolo fu restaurato da Alessandro Severo. Era lungo 276 metri, largo 106 e poteva ospitare 30.000
spettatori.
Antica stampa del 1613
Lo stadio era riccamente decorato con statue, una delle quali è quella di Pasquino (forse una copia di un gruppo ellenistico pergameno che si presume rappresentante Menelao che sorregge il corpo di Patroclo), ora nell'omonima piazza di fianco a piazza Navona.
Poiché era uno stadio e non un circo, non c'erano i carceres (i cancelli da cui uscivano i cavalli da corsa) né la spina (il muro divisorio intorno a cui correvano i cavalli) come ad esempio il Circo Massimo, ma era tutto libero ed utilizzato per le gare degli atleti. L'obelisco che ora è al centro della piazza non si trovava lì, ma viene dal circo Massenzio, che era sulla via Appia.
Il nome della piazza era originariamente "in Agone"[1] (dal greco agones, "giochi") poiché lo stadio era usato solo ed esclusivamente per le gare di atletica. Non è assolutamente vero che piazza Navona veniva usata per le battaglie navali: si tratta di una leggenda metropolitana generata dal fatto che la piazza veniva allagata solitamente nel mese di agosto per lenire il caldo; anticamente la piazza era concava, si bloccavano le chiusure delle tre fontane e l'acqua usciva in modo da allagare la piazza.
Una delle più importanti fontane di Roma.
Sarà raro sentir parlare i cittadini romani direttamente della Fontana dell’Acqua Paola in quanto tale; più che altro essi sono soliti chiamarla affettuosamente “il fontanone”, viste le grandi dimensioni di questo monumento. Per poterlo scorgere sarà sufficiente recarsi presso il colle del Gianicolo, nei pressi della chiesa di San Pietro in Montorio, nel pieno centro della città. La sua costruzione risale al periodo compreso tra il 1610 e il 1612 e doveva costituire il terminale ideale dell’omonimo acquedotto dell’Acqua Paola (anticamente conosciuto come Acquedotto Traiano), un’opera che papa Paolo VI aveva voluto fortemente ristrutturare, il che spiega questo nome così particolare. Si tratta, tra l’altro, di un monumento che vanta un bel primato, visto che è la più grande fontana romana della riva sinistra del Tevere.
Il Giro di Roma: Contatti
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Ivano Mattei
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Infoline: +39.389.019.67.42
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LA STORIA
La sacra Insula Tiberina, è originata da
rocce vulcaniche e depositi fluviali accumulati nei millenni nel punto in cui,
allargandosi il Tevere, il livello dell’acqua si abbassa e la corrente è più
lenta. Nella Forma Urbis Severiana aveva nome di "inter duos pontes",
perchè in seguito fu collegata all'Urbe da due magnifici ponti. Fu l'isola in
cui si rifugiarono le prime abitazioni romane, avendo all'inizio un solo guado
e quindi più facilmente difendibile, guado che fu poi sostituito da un ponte di
legno.
La celebre fontana in stile rococò fu iniziata da Nicola
Salvi ( che vinse il concorso indetto da papa Clemente XII) nel 1732 e
completata nel 1762 da Giuseppe Pannini.
Il monumento, alimentato da uno dei più antichi acquedotti
romani, quello dell’Acqua Vergine, raffigura un Oceano su un cocchio a
forma di conchiglia trainato da cavalli marini, guidati da tritoni.
Prima di allontanarvi non dimenticate di lanciare una monetina nella fontana, vi assicurerà
il ritorno nella città eterna. Se invece siete in cerca del grande amore,
magari di nazionalità italiana, allora gettatene una seconda, una terza,
infine, per essere sicuri di convolare presto a nozze.
Una curiosità: la fontana è
stata la splendida cornice di una scena del famosissimo film di Fellini “la
dolce vita” in
cui una provocante Anita Ekberg avvolta in un vestito nero
si bagna nelle acque della fontana chiamando Marcello Mastroianni.
Roma in tempo reale - Area sacra in largo di Torre argentina..tregua..niente pioggia stamattina.. buongiorno a tutti!! — presso Largo di Torre Argentina.
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